Jeremy Clarkson, emozionato addio prima dell'ultimo episodio di The Grand Tour
Il conduttore ripercorre sul Times i passaggi cruciali del trio delle auto più famoso al mondo
Adesso è finita per davvero, l'ultimo atto del trio "dei motori" più conosciuto al mondo è a 10 giorni dall'andare in scena. Il 13 settembre su Amazon Prime Video (qui per info) sarà disponibile l'ultimo episodio di The Grand Tour ambientato in Zimbabwe. "È emozionante", si è lasciato sfuggire il volto per eccellenza del trio, Jeremy Clarkson, nell'ultimo editoriale per il Times, in cui ripercorre un ventennio di automobili e di follie di fianco a Richard Hammond e James May tra BBC e Amazon Prime Video.
Dopo 36 anni trascorsi a parlare di auto in televisione sto mollando, sono troppo vecchio e ingombrante per salire sulle auto che mi piacciono e non ho voglia di guidare quelle che non mi piacciono – scrive Jeremy sul Times. Dopo 22 anni la mia collaborazione con Richard Hammond e James May volge al termine. […] Ciò che rende felici tutti e tre però è il modo in cui l'abbiamo conclusa: siamo atterrati sani e salvi, e anche delicatamente, sulle saline del Botswana, finendo così dove avevamo iniziato.
Credits immagine: thetimes.com
E dagli inizi parte il lungo congedo di Clarkson. Top Gear non nacque sotto una buona stella, inizialmente non ebbe grande seguito tanto che la BBC lo cancellò dal palinsesto. Jeremy propose di ripartire da tre cardini: di utilizzare un luogo inconsueto per uno studio televisivo, l'hangar che tutti conosciamo, di fare uno show con il pubblico e con delle celebrità (e dagli studi di Top Gear ne sono passate a centinaia), e di testare le auto su pista.
TRE CAPISALDI E TRE PRESENTATORI
Proprio quest'ultimo punto è stato tra i più complicati da definire, si optò per l'ex aeroporto del Surrey, Dunsfold Park, all'interno del quale venne ricavato un tracciato di poco meno di 3 km in cui girarono personalità del calibro di Lewis Hamilton, Sebastian Vettel, Rubens Barrichello, Nigel Mansell, Kimi Raikkonen, Damon Hill o Michael Schumacher, che in un episodio finse di essere The Stig. Si finì per scegliere Dunsfold Park, racconta Clarkson, per ragioni logistiche e di opportunità: "Era vicino alla zona in cui vivevano tutte le celebrità".
Tre capisaldi – hangar, celebrità, pista – per tre presentatori, "il numero perfetto – spiega Clarkson – perché due possono sempre coalizzarsi contro il terzo". Il programma, con Clarkson, Hammond e Jason Dawe, non decollò, così quest'ultimo venne sostituito con James May, co conduttore della primissima stagione, e "si rivelò la scelta giusta", ricorda Jeremy. Così Top Gear andò avanti ma con gli ascolti di un programma qualsiasi, non era certo lanciato verso il successo che lo ha reso noto ovunque.
L’INCIDENTE DI HAMMOND CHE DÀ VITA AL ‘MITO’ TOP GEAR
La svolta arriva per caso nel 2006, quando Richard Hammond rischia grosso in un incidente durante le riprese del programma. I tre decisero di montare il motore di un aereo della RAF, la Royal Air Force, in un dragster, e a causa dell'esplosione di uno pneumatico Richard rimase coinvolto in un incidente alla folle velocità di 464 km/h, che gli provocò un grave trauma cranico e un coma di un paio di settimane.
Clarkson ricorda così quell'episodio, mandato in onda al rientro di Hammond, che segnò uno spartiacque per gli ascolti di Top Gear:
All'aeroporto di Elvington nello Yorkshire, Richard iniziò un nuovo hobby: andare a testa in giù mentre a velocità estremamente elevate. […] Tantissima gente iniziò a guardare lo show, e in molti finirono per apprezzare il nostro rifiuto verso il politically correct. […] Dietro la cattiveria da scolaretto, comunque, era un programma molto ben fatto.
‘TRISTEZZA’, MA ‘SIAMO STATI I PIÙ FORTUNATI AL MONDO’
La restante parte della storia la conosciamo più o meno tutti, Top Gear è diventato un programma di enorme successo in tutto il mondo fino all'episodio del 2015, quando Clarkson fu licenziato dalla BBC (il CEO dei tempi dell'emittente, poi, ammise l'errore) e sia Hammond che May lo seguirono in Amazon, che di fatto diede al trio carta bianca. Nel 2016 nasce così su Prime Video The Grand Tour, un programma in cui "abbiamo partorito l'apertura più grande e opulenta che potevamo permetterci", ricorda Jeremy.
Una tenda (piuttosto che l'hangar di Top Gear, ndr) era diventata la nostra nuova casa, e siamo tornati a fare ciò che sapevamo fare meglio e più ci piaceva: acquistare tre vecchie auto orribili e scoprire se potevamo guidare su terreni raccapriccianti verso una destinazione idiota. […] Abbiamo riflettuto a lungo su quale potesse e dovesse essere la conclusione di un rapporto lungo 22 anni, e siamo finiti sull'ultima dell'alfabeto: Zimbabwe. Volevamo andarci da sempre, non avevamo però mai potuto perché per la BBC era ed è una zona vietata. Tutti e tre amiamo l'Africa.
Clarkson ripercorre le emozioni del momento in cui il regista dice: "è finita". Tristezza, è il termine che sintetizza meglio ciò che ha provato,
soprattutto perché alcuni componenti della troupe erano con noi da sempre. La gente pensa a Top Gear e a The Grand Tour come a James, Richard e me, ma non è così. Abbiamo mantenuto la stessa troupe per anni, siamo cresciuti insieme, abbiamo campeggiato insieme. Sono i ragazzi che hanno realizzato quegli spettacoli, sono quelli che hanno tenuto accesi microfoni e telecamere anche quando faceva freddo o era pericoloso.
Cosa mancherà a Jeremy Clarkson?
L'emozione di strisciare in città come Harare (la capitale dello Zimbabwe, sede dell'ultimo episodio, ndr), La Paz o Hanoi alle tre del mattino su un'auto a cui mancano i fari, con una marcia e tre ruote. Non avrei mai immaginato di avere un lavoro che mi avrebbe permesso di fare cose del genere. Lo abbiamo inventato noi. E a chiunque ci sostituisca auguro, anche se contrarrà malattie, sarà arrestato e malmenato fino a diventare un livido ambulante, di rendersi conto di essere il più fortunato sulla terra.
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