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Speciale Tesla: cosa sono le batterie "tabless" e le celle 4680 del Battery Day

La spiegazione delle batterie tabless con le celle 4680 presentate al Battery Day 2020 di Tesla

Luigi Melita
Luigi Melita
Pubblicato il 6 ott 2020

Con il Battery Day ormai alle spalle, vediamo di andare più in profondità analizzando perché le novità presentate da Tesla sono state da molti sottovalutate. 

CATODO E MATERIALI

Le batterie non sono tutte uguali. Non lo sono nella forma delle loro celle (capitolo successivo) e non lo sono nei materiali. Il catodo è importante perché determina le qualità della batterie in termini di:

  • densità energetica
  • vita della batteria (cicli massimi)
  • prestazioni in ricarica (e in scarica)
  • sicurezza (temperatura massima a cui la cella può resistere prima della fuga termica)

L'evoluzione è costante ma nella storia delle auto elettriche moderne abbiamo visto batterie al litio con Ossido di Manganese (LMO, la Leaf di prima generazione), litio con ossido di Nickel-Manganese-Cobalto (NMC, BMW i3) o litio con ossido di Nickel-Cobalto-Alluminio (NCA, Tesla). Quando si parla di batterie al litio con "ossido di qualcosa", si descrivono i materiali che formano il catodo.

Una delle frontiere su cui si sta muovendo la ricerca, è l'azzeramento della quantità di cobalto utilizzato. La stabilità garantita dal cobalto verrà sostituita a minor costo aumentando il nickel e, tramite lavorazione, renderlo paragonabile al cobalto in termini di proprietà fisiche.

4680: L’IMPORTANZA DELLA FORMA

Tesla ha scelto fin dagli inizi la via delle celle cilindriche rispetto alle celle a sacchetto ("pouch cells", quelle della Leaf) o a quelle prismatiche (BMW i3) puntando sulla maggior densità energetica e mantenendo il vantaggio di poter supportare un maggior numero di ricariche, allungandone la vita. 

Le batterie prismatiche sono la miglior soluzione perché prodotte su specifica ma, essendo personalizzate per uno specifico modello, restituiscono minor flessibilità  e costi di produzione maggiori. Si tratta di una filosofia simile a quella delle batterie per gli smartphone che sono fatte in base allo spazio disponibile dopo aver alloggiato gli altri componenti. Le cilindriche consentono di giocare con capacità (mettendole in parallelo) e tensione (in serie) e adattarle ad ogni auto. La "morte" di una cella all'interno del modulo non influisce sulla tensione del modulo stesso ma decurta semplicemente quell'ammontare di capacità. Lo svantaggio è che la singola cella cilindrica aveva, finora, un output di corrente inferiore, riducendo quindi la potenza (corrente moltiplicato per tensione).

Ogni cella ha un guscio in metallo che protegge dalle sollecitazioni meccaniche ma funge anche da dissipatore e all'interno la stabilità è garantita grazie alla separazione multipla di anodo e catodo nell'avvolgimento. Vi ricordate il Note 7? Anodo e catodo entravano a contatto.

Le 18650 (chiamatele 1865 altrimenti Elon si arrabbia, significa un cilindro di dimensioni 18×65 mm) erano quelle della prima generazione (Roadster e prima Model S). Si tratta dei classici moduli NCA Panasonic con tanto cobalto  per il catodo (11 kg per auto) e anodo in grafite.

L'evoluzione delle 18650 ha ridotto di 4 kg il cobalto nel catodo e l'anodo è diventato misto in grafite e silicio. Il silicio (o meglio ossido di silicio) è il migliore per capacità energetica ma ha dei limiti fisici: la grafite si espande in volume del 7/10% da scarica a carica (e ha un decimo della capacità energetica), il silicio del 300/400%.

Il passo successivo è quello di Model 3 nel 2018 con le 2170, cilindri di 21×70 mm, sempre con catodo NCA ma dimezzando ulteriormente il cobalto (meno di 5 chili) ed evolvendo l'anodo "ibrido" in silicio e grafite (qui vi parlo anche di grafite e grafite sintetica).

Il Battery Day, con le 4680, ha annunciato l'arrivo di un nuovo anodo dove il silicio giocherà un ruolo ancora più importante perché Tesla è al lavoro per risolvere il problema del cedimento strutturale dopo diversi cicli di espansione, senza utilizzare le costose tecniche attuali ma riducendo il tutto ad 1,2 $ per kWh tramite un rivestimento polimerico elastico e conduttivo.

INSTABILITÀ TERMICA: LE BATTERIE ESPLODONO?

Applicata alla chimica delle batterie, l'instabilità termica (thermal runaway) è quella situazione in cui è la temperatura eccessiva ad innescare un incremento termico esponenziale a causa di reazioni a catena. In casi gravi si può verificare un'esplosione. Va notato che la deriva termica si verifica in pochissimi istanti (ordine dei millisecondi) al superamento di alcuni parametri ed è difficilmente arrestabile:  per questo motivo, tutte le misure di sicurezza sono fatte per intervenire prima dell'evento e con ampio margine

Foto qui sopra: What's Inside – YouTube

Alla base di eventi simili possono esserci sollecitazioni elettriche, meccaniche o termiche; il cortocircuito è uno degli esempi più comuni che tutti abbiamo sperimentato almeno una volta nella vita con le comuni batterie: solitamente con del fumo, in casi più estremi con il fuoco. In rarissimi casi con un'esplosione.

Se non esistesse un sofisticato controllo, anche il sovraccarico potrebbe innescare un'evento termico, quando si supera la tensione massima supportata dalla cella e si innesca un aumento di temperatura rapido. Questo, fortunatamente, non può succedere perché la carica non è regolata dall'utente (che potrebbe dimenticare la batteria "attaccata alla presa") ma dal computer. Ed è lo stesso motivo per cui le batterie del fucile da softair e dei modellini elettrici le ho sempre caricate con questo:

Nelle auto elettriche si combatte la possibile insorgenza di questo fenomeno proteggendo le celle da tutte e tre le tipologie di sollecitazione: il sistema di gestione monitora costantemente la parte elettrica, le lastre di rivestimento dei moduli e dell'intero pacco batteria si occupano di salvaguardare dagli urti e il raffreddamento (questo il brevetto originale di Tesla) gestisce l'incremento eccessivo della temperatura mantenendole tra i 15° e i 45° C a seconda dei parametri decisi dal costruttore e controllati dal BMS.

Semplificando: maggiore è la corrente di carica e scarica, maggiore è l'aumento della temperatura di una cella. Tecnicamente è vero ma nella realtà di un modulo va considerato anche lo stato di carica (SoC) della batteria. La gestione termica dei moduli deve tenere conto di una combinazione di corrente di carica e stato di carica perché il comportamento della cella non rispecchia necessariamente quello dell'intero pacco. 1 e 2

 Quando il raffreddamento è assente o raggiunge il suo limite, interviene comunque l'elettronica di controllo (BMS) che si occupa di limitare la potenza di carica (immessa nel sistema) o quella di scarica (dalla batteria al motore), per salvaguardare le celle. Questo è quello che accade sulla Leaf ad esempio, priva di un raffreddamento sofisticato (è ad aria e non a liquido) eppure perfettamente sicura grazie all'intervento castrante.

BATTERIE TABLESS: COSA SIGNIFICA

La batteria Tesla 4680 (più corretto dire la cella Tesla 4680) è stata presentata con tre numeri: 6 volte più potente, 5 volte l'energia rispetto alla precedente, in grado di aumentare l'autonomia del 16%, solo per il fattore di forma, senza considerare le altre novità in termini di materiali e via dicendo. Vediamo perché e come. L'energia contenuta, volgarmente la capacità, dipende dalle dimensioni: la cella è più grande, notare infatti che non si parla di densità energetica.

Gli altri punti vanno analizzati ampliando il discorso. Pur avendo un sistema di climatizzazione a liquido, la struttura del pacco batterie delle 2170 mostra chiaramente due cose: non tutte le pareti delle celle sono direttamente a contatto con la serpentina per il raffreddamento e su quelle a contatto si agisce lateralmente:

Lo sviluppo del calore nella cella è però longitudinale, per questo il nuovo design permette una miglior efficienza nel raffreddamento tramite la dissipazione, sfruttando proprio il rame e le sue caratteristiche di conduttività termica:

Il design "tabless" (qui il brevetto di Tesla) permette poi di ridurre il percorso degli elettroni di cinque volte, cosa che si scopre facilmente quando capiamo come erano fatte, finora, le celle cilindriche: avvolgimenti di "fogli" dove alle estremità troviamo due collettori di corrente (i "tab") che connettono anodo e catodo agli elettrodi esterni. In pratica queste "linguette" (una in rame e una in alluminio) fanno da tramite tra l'interno della batteria e l'esterno dove andiamo effettivamente a misurare la differenza di potenziale.

Ci sono due problemi legati ai collettori: allungano i tempi della produzione, perché è un elemento ulteriore che va applicato, e creano una resistenza che limita la corrente erogabile, insomma creano un collo di bottiglia degno delle Termopili. 

Con "tabless battery" o "tabless cell", termine difficile da tradurre in italiano, si intende il fatto che questi elementi spariscono… o meglio vengono integrati nel foglio dell'anodo. Più corretto, infatti, parlare di "batteria multi-tab" o "cella multi-tab" perché in produzione viene preformato il foglio dell'anodo (grafite/silicio rivestito in rame) affinché, quando si effettua l'avvolgimento, le estremità si trasformino in tantissime "linguette" concentriche. 

Questo permette di ridurre il percorso degli elettroni che passa da 250 mm a 50 mm nonostante le celle siano più grandi.Tutto si traduce in una minor resistenza.

Il design tabless non solo risolve il problema della potenza, incrementandola (e consentendo potenza di carica e di scarica maggiore) ma permette anche di utilizzare meno celle per ogni pacco batteria a parità di capacità (il volume della cella è maggiore) e creare moduli più leggeri perché si impiega meno materiale per l'involucro delle celle (il tubo metallico che contiene i "fogli")

Anche le temperature beneficiano della nuova struttura per via della minor resistenza e del sistema "multi-tab" che riduce quel collo di bottiglia creando una maggior dissipazione, complice un nuovo disegno del pacco batterie strutturale. Se prima si utilizzava lo schema mostrato nei capitoli iniziali, dove lateralmente si trovavano strati termicamente meno conduttivi ed era più difficile dissipare, ora si va a lavorare longitudinalmente, scaricando il calore lungo l'asse naturale del suo sviluppo all'interno della cella (quello verticale) ed "estraendolo" dove trova minor resistenza termica grazie alla spirale di collettori in rame collegati al piatto di fondo.

I TASSELLI DI UN PIANO AMBIZIOSO

Il nuovo formato, 4680, porta un incremento nell'autonomia del 16% senza considerare le altre novità nei materiali.Tesla ha già dimostrato di poter contare su un'autonomia a prova di vita reale ed è riuscita ad ottenere un degrado della batteria molto contenuto nel tempo. Di seguito i dati rilasciati dal produttore nell'Impact Report 2019 (lo trovate qui):

Sommando i dati di questo grafico relativo alle "vecchie generazioni" alle migliorie in termini di efficienza termica che consentiranno alle celle 4680 di vivere meglio e più a lungo, diventa chiaro che l'autonomia estrema non è il punto focale della strategia del produttore, quanto piuttosto un mix bilanciato di durata nel tempo, riduzione dei costi e velocità di produzione. 

Elon Musk sembra volerci dire: abbiamo raggiunto prestazioni, velocità di ricarica (le nuove celle reggono meglio la maggiore potenza) e autonomia, ora è tempo di spingere sull'acceleratore per una vera diffusione massiccia delle auto elettriche.

L'importanza del piano di Musk, se rispetterà le promesse, non si riassume in un'unica grande innovazione ma in tante innovazioni incrementali che però portano a dimezzare il costo della produzione delle celle – ed è questa la più grande novità – e aumentare l'autonomia oltre che ridurre l'energia utilizzata in produzione, ridurre l'impronta delle fabbriche, aumentare la velocità di produzione delle celle, rendere più pulito il processo di estrazione materiali, ridurre la dipendenza dal problematico cobalto e integrare le celle nella struttura del veicolo che, ciliegina sulla torta, viene prodotto in modo più efficiente e fa del pacco batterie un elemento strutturale e al contempo sicuro.

A questi punti si aggiunge la diversificazione dei catodi in base all'utilizzo e al tipo di vettura/veicolo/accumulo e lo sviluppo della tecnologia di rivestimento degli elettrodi a secco senza ricorrere a solventi.

Quando tutti i tasselli andranno al loro posto,  Tesla riuscirà a produrre l'elettrica da 25.000$, l'auto a batterie per tutti che in tanti aspettano e che non giocherà la partita grazie a batterie dalla poca autonomia o al prezzo ridotto dagli incentivi come accade oggi, ma sarà in grado di vendersi senza aiuti statali e di viaggiare con autonomie paragonabili alle odierne benzina e diesel.

I DUBBI

La promessa di Elon non è quindi quella di essere l'unico, in futuro, con autonomie paragonabili alle auto a combustione o con la guida autonoma. Musk ammette che anche gli altri ci arriveranno… prima o poi. La rivoluzione è industriale, alla lontana paragonabile con la rivoluzione di Ford agli inizi del secolo scorso: essere i migliori nella produzione con un vantaggio competitivo importante e, a parità di impronta dell'impianto, aumentare di dieci volte l'output.

Musk ha comunicato che serviranno 12/18 mesi per l'implementazione delle novità annunciate, un paio di revisioni (ognuna da 3/4 mesi) per ottimizzare il processo dell'anodo a secco sviluppato con Maxwell e 3/4 anni per arrivare a regime. L'accelerazione dipenderà anche da eventuali nuovi contributi, Tesla ha invitato chiunque abbia idee e formazione a fare domanda per lavorare con l'azienda, e bisognerà vedere se Elon riuscirà a mantenere la promessa e se i concorrenti saranno o meno in grado di recuperare terreno.

Parte del piano di Tesla, pur considerando la forte integrazione verticale, richiederà comunque l'impegno di altri attori, dai produttori di celle a quelli di macchinari; insomma l'intera filiera dovrà abbracciare il nuovo paradigma per aiutare Tesla nell'accelerazione.

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