Dazi auto di Trump, le prime reazioni: Ferrari alza i prezzi del 10%
Il Cavallino Rampante è una delle prime casa automobilistiche ad annuncire contromisure

La decisione di Donald Trump di istituire dazi definiti come "permanenti" al 25% per tutte le auto prodotte al di fuori degli Stati Uniti ha scatenato un mare di polemiche in ambito politico e non solo. Dal mondo dell'industria automotive stanno infatti iniziando ad arrivare i primi commenti critici sulla decisione del Presidente americano e non mancano nemmeno le preoccupazioni sugli impatti che avrà questa decisione sulle aziende e sui lavoratori. Dei dazi sicuramente se ne parlerà ancora a lungo. Intanto, c'è chi ha già annunciato l'intenzione di alzare i prezzi di alcune delle sue auto vendute negli Stati Uniti in risposta ai nuovi dazi. Di chi stiamo parlando? Della Ferrari.
SALGONO I PREZZI DEL 10%
Pochi giorni fa avevamo scritto che il Cavallino Rampante stava già pianificando eventuali contromisure nel caso Trump avesse istituito effettivamente i dazi sulle auto prodotte in Europa. La Ferrari, che produce tutte le sue auto nello stabilimento di Maranello, ha dunque dichiarato che aumenterà i prezzi, fino a un massimo del 10%, su tutti i modelli importati negli USA dopo il 2 aprile, in coordinamento con la sua rete di concessionari.
Non ci saranno invece modifiche alla condizioni commerciali per gli ordini di tutti i modelli importati prima del 2 aprile 2025. Nessuna variazione anche per chi ha ordinato i modelli 296, SF90 e Roma, indipendentemente dalla data di importazione. Ferrari ha poi confermato gli obiettivi finanziari per il 2025 stabiliti il mese scorso, aggiungendo che a causa dei dazi potrebbero esserci delle ripercussioni sui suoi obiettivi di redditività.
CRITICHE E PREOCCUPAZIONI
La situazione è molto delicata e le case automobilistiche stanno valutando come muoversi. BMW, intanto, in una breve nota sottolinea che una guerra commerciale tra l'Unione Europea e gli Stati Uniti non avrebbe alcun vantaggio.
Entrambe le parti dovrebbero quindi trovare rapidamente un accordo transatlantico che crei crescita e impedisca una spirale di isolamento e barriere commerciali.
Si è fatta sentire anche ACEA, l'associazione europea dei costruttori di automobili, oggi guidata dal numero uno di Mercedes. In questo caso il commento è del direttore generale Sigrid de Vries.
Le case automobilistiche europee investono negli Stati Uniti da decenni, creando posti di lavoro, promuovendo la crescita economica nelle comunità locali e generando enormi entrate fiscali per il governo degli Stati Uniti. Esortiamo il presidente Trump a considerare l'impatto negativo delle tariffe non solo sulle case automobilistiche globali, ma anche sulla produzione nazionale degli Stati Uniti. Le tariffe non avranno un impatto solo sulle importazioni negli Stati Uniti, una penalità che i consumatori americani probabilmente pagheranno, ma le misure sui componenti per auto danneggeranno anche i produttori di automobili che producono auto negli Stati Uniti per i mercati di esportazione. I produttori europei esportano tra il 50% e il 60% dei veicoli che producono negli Stati Uniti, apportando un contributo positivo sostanziale alla bilancia commerciale degli Stati Uniti. L'Unione europea e gli Stati Uniti devono avviare un dialogo per trovare una soluzione immediata che consenta di scongiurare i dazi e le conseguenze dannose di una guerra commerciale.
Oltre alle critiche da parte del mondo politico e alle prime prese di posizione delle case automobilistiche, arrivano gli allarmi degli analisti sulle conseguenze dei dazi. Le nuove tariffe doganali, ricordiamo, colpiranno anche una parte della componentistica. Secondo UBS, per esempio, "i dazi potrebbero anche interrompere le catene di approvvigionamento, scoraggiare gli investimenti e aumentare significativamente i prezzi al consumo, innescando potenzialmente controversie commerciali con Europa, Giappone e Corea del Sud".
Anche JP Morgan la pensa più o meno uguale, avvertendo che i dazi potrebbero "provocare interruzioni della catena di approvvigionamento a livello globale, con un impatto immediato sulla produzione, probabilmente maggiore dell'impatto sulla domanda nel breve termine, determinando una riduzione delle scorte e dei giorni di fornitura".