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Dubbi della Cassazione sui test antidroga: non sufficienti per un giudizio penale

La Corte di Cassazione solleva alcuni dubbi sulla riforma Salvini del 2024, evidenziando la necessità di test antidroga più attendibili e sicuri.

Dubbi della Cassazione sui test antidroga: non sufficienti per un giudizio penale
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Gabriele Lupo
Gabriele Lupo
Pubblicato il 27 gen 2025

La Corte di Cassazione è intervenuta sulla validità dei test antidroga introdotti con la riforma del Codice della Strada, ribadendo la necessità di prove concrete al fine di accertare un effettivo stato di alterazione psicofisica da parte del conducente. 

Le maggiori discussioni a riguardo si sono concentrate sulle perplessità in merito ai cosiddetti falsi positivi e sulla reale attendibilità dei test eseguiti. 

Una sentenza importante della Corte di Cassazione ha posto il suo focus su alcuni principali aspetti della riforma Salvini del 2024 per quanto riguarda il reato di guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. La riforma ha infatti reso sufficiente un solo test antidroga positivo per incriminare il conducente, senza la necessità di verificarne la lucidità e la reale capacità di guidare. 

La Corte di Cassazione, con una sentenza relativa a fatti avvenuti sotto la precedente normativa, ha precisato che l'esame delle urine, da solo, non può essere considerato sempre affidabile. Ha inoltre individuato nell'esame del sangue il metodo principale per determinare se una persona stia guidando sotto l'effetto di sostanze stupefacenti.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

La situazione ha suscitato diverse preoccupazioni soprattutto per i soggetti che fanno uso di stupefacenti per motivi terapeutici o per chi ha assunto sostanze molto tempo prima del controllo, in queste casistiche infatti, una possibile positività al test antidroga non evidenzia necessariamente una condizione di incapacità alla guida. 

Con la sentenza n. 2020/2025, depositata il 17 gennaio 2025, la Cassazione ha affrontato il caso di un automobilista a cui era stata revocata la patente sulla base di un test antidroga eseguito sulle urine. Sebbene la vicenda risalga a febbraio 2021, dunque precedente all’attuale riforma del Codice della Strada, la Corte ha ribadito l’importanza di accertare l’effettiva alterazione psicofisica al momento della guida. Gli Ermellini, inoltre, hanno indicato una linea interpretativa che potrebbe risolvere alcune criticità emerse con le recenti modifiche normative, richiamando la necessità di metodologie più precise e affidabili.

A differenza dell’esame delle urine, che può evidenziare tracce di sostanze anche a distanza di tempo, l’analisi del sangue consente di accertare direttamente la presenza di stupefacenti nel sistema al momento del controllo. Questo aspetto è cruciale per determinare se il conducente si trovi in uno stato di alterazione psicofisica immediata e concreta.

Oltre a stabilire la maggiore affidabilità dell'esame del sangue, la Cassazione ha sottolineato che, al fine di valutare una condizione psicofisica alterata, è necessario un controllo globale del suo comportamento: questo significa che gli agenti delle forze dell'ordine dovrebbero considerare diversi fattori tra cui la coordinazione dei movimenti, l'eloquio e lo stato emotivo della persona. 

Questi sarebbero ulteriori controlli per accertare il fatto che il conducente non stia guidando sotto l'effetto di sostanze che ne alterino le capacità di controllo del veicolo. 

La Cassazione, pur riferendosi a episodi precedenti alla riforma Salvini, ha di fatto messo in discussione alcune delle modifiche apportate, sottolineando l'importanza di effettuare accertamenti approfonditi e completi. Un test antidroga positivo, da solo, non è sufficiente per incriminare un automobilista: serve una dimostrazione chiara e concreta della sua incapacità di guidare in sicurezza. Questo approccio, più attento e puntuale, mira a evitare possibili errori e a garantire che vengano sanzionati esclusivamente i comportamenti realmente rischiosi.

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