Nebbia e guida autonoma, alla Stanford University si lavora ad una soluzione
La nebbia non sarà un problema per i sistemi di guida autonoma, alla Stanford si lavora ad un sistema che vede l'invisibile
Le auto a guida autonoma sono ormai una realtà e abbiamo visto come i servizi correlati a questa tecnologia siano in costante aumento. Pensiamo ad esempio al servizio di robo taxi cinese AutoX, ormai accessibile al pubblico a Shangai, o al fatto che nel Michigan si stia pensando alla prima realizzazione di un tratto di strada dedicato solo alle auto a guida autonoma.
Se non avete molta dimestichezza con l'argomento abbiamo realizzato uno speciale, resta il fatto che si tratta di una una tecnologia con cui dovremo fare i conti molto presto. Gli sforzi congiunti di aziende automobilistiche e ricercatori sono tutti indirizzati al miglioramento dei sistemi di guida autonoma in ottica sicurezza, ma sono diversi gli scogli da superare.
Pensiamo anche solamente alle condizioni climatiche, una delle più pericolose è sicuramente la nebbia. A questo proposito, i ricercatori della Stanford University sono riusciti a realizzare un dispositivo in grado di vedere attraverso la nebbia fitta, del genere che l'occhio umano è in grado di vedere solamente un muro di goccioline d'acqua.
In realtà, il segreto risiede tutto nell'algoritmo sviluppato visto che la tecnologia utile è già comunemente utilizzate nei sistemi ADAS, il sistema si baserà infatti sull'utilizzo di laser e rilevatori di fotoni.
L'algoritmo può ricostruire scene nascoste in tre dimensioni basate sul movimento di singole particelle di luce, note come fotoni. A conti fatti, i primi test evidenziano che il sistema è stato in grado di ricostruire con successo le forme oscurate da un pezzo di schiuma spesso 2,5 cm.
Come funziona? Mentre il laser esegue la scansione di un'ostruzione (come la schiuma utilizzata nei test), un fotone occasionale riesce a passare attraverso la schiuma. I fotoni che passano attraverso la schiuma colpiscono l'oggetto nascosto dietro di essa e tornano indietro attraverso la schiuma per raggiungere il rilevatore. L'algoritmo utilizzato nel sistema utilizza un software per seguire quei fotoni, misurano il percorso e ricostruiscono l'oggetto nascosto in 3D. Il ricercatore ed autore della documentazione (disponibile in FONTE), Gordon Wetzstein, afferma che mentre molte tecniche di imaging possono rendere le immagini un po 'migliori, il loro algoritmo può rendere visibile l'invisibile. Funzionerà anche in movimento e con distanze maggiori di quelle valutate nei primi test? Tutti aspetti che al momento non possono essere valutati.
Sistemi simili sono già stati sviluppati, ma secondo i ricercatori di Stanford questa tecnologia presenta limiti minori. Uno su tutti, non è necessario conoscere la distanza dell'oggetto nascosto per avere una ricostruzione dettagliata. Si pensa anche ad utilizzi diversi da quelli inerenti la guida autonoma, ad esempio per le tecnologie satellitari di rilevazione.
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