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Guida ricarica auto elettrica: connettori, wallbox, AC/DC, tempi e costi

Guida ricarica auto elettrica: connettori, AC, DC, costi e tempi di ricarica

Guida ricarica auto elettrica: connettori, wallbox, AC/DC, tempi e costi
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Luigi Melita
Luigi Melita
Pubblicato il 9 mag 2018

Quando si parla di connettori per la ricarica delle auto elettrica può nascere un po' di confusione. Come per i connettori degli smartphone, dove prima di arrivare alla standardizzazione c'è voluto molto tempo, anche in questo caso ci sono diverse soluzioni che cambiano a seconda del tipo di veicolo e del caricatore a bordo.

Ricarica auto elettrica in Corrente Alternata (AC)

La rete elettrica di casa è in AC a 230 volt, tensione che consente di erogare l'energia elettrica riducendo il più possibile il rischio di scosse mortali. La corrente alternata consente di passare facilmente da una tensione all'altra, a seconda del dispositivo utilizzatore, grazie al trasformatore.

Tramite rete domestica e senza PWM dedicato a gestire la sicurezza delle operazioni di ricarica, si possono ricaricare veicoli elettrici come bici, moto scooter collegandosi direttamente alla presa casalinga (Modo 1). Questo vale solo per i luoghi privati dato che, secondo la legge, in Italia il PWM è obbligatorio in ambienti pubblici o nei luoghi privati aperti a terzi.

Quando si passa a moto/scooter più prestazionali o auto, la ricarica domestica necessita del control box (Modo 2). In questo caso si possono utilizzare sia le prese domestiche che quelle industriali fino ad un massimo di 32A, monofase o trifase con massimo 22 kW.

Terzo scenario è quello della ricarica pubblica (Modo 3): uscendo dalle mura domestica arrivano le colonnine con PWM che offrono la ricarica a 16A – 240V, quella lenta, o la ricarica veloce a 32A e 400V.

Connettori ricarica AC – Modo 3, Modo 2, Modo 1

Diverse le tipologie di connettori principali per la ricarica di un veicolo elttrico in AC.

  • Tipo 1: monofase che gestisce un massimo di 32A e 230V arrivando a 7.4 kW.
  • Tipo 2: mono/trifase che gestisce un massimo di 32/70A a 230/400V circa. In questo caso si può arrivare ad una potenza massima di 43 kW
  • Tipo 3C: mono/trifase per massimo 32/62A e 230/400 Volt. La potenza massima è di 22 kW
  • Schuko: 10A, 230 V e 2.3 kW di potenza massima
  • Tipo 3A: monofase per massimo 16A e 230V, dedicato ai veicoli leggeri (potenza massima 3.7 kW)

In AC il connettore più diffuso è il Tipo 2 perché gestisce monofase e trifase grazie all'utilizzo di 7 poli, due dei quali sono utilizzati per il PWM che fa comunicare auto con stazione di ricarica e serve, tra le altre cose, a salvaguardare la batteria oltre che garantire la sicurezza operativa richiesta dalla legge.

Ricarica auto elettrica in Corrente Continua (DC)

La corrente continua (DC) consente la ricarica "ultra-rapida". In questo caso il caricabatterie è nella colonnina e gli standard principali sul mercato sono il CCS COMBO2 e il CHAdeMO.

La corrente alternata del sistema distributivo viene trasformata in corrente continua a 400V dalla colonnina di ricarica rapida. Da qui il costo maggiore di questo tipo di stazioni rispetto a quelle in AC che si sono diffuse maggiormente visti i minori investimenti richiesti.

Connettori di ricarica DC – Modo 4

CHAdeMO è lo standard nato in oriente a 50 kW (500V, 125 A) in corrente continua e può supportare potenze superiori, arrivando agli step da 100 e 150 kW. In DC il cavo è sempre fissato alla stazione di ricarica dato che l'alta tensione rappresenta un pericolo molto maggiore.

Il nome nasce dal giapponese "O cha demo ikaga desuka", che si traduce alla buona in "ci facciamo una tazza di te?". Il riferimento è nel tempo di attesa per ricaricare l'auto, quello appunto di una tazza di te in compagnia. Solitamente le auto che ricaricano in DC hanno anche un connettore per la ricarica lenta in corrente alternata che affianca quello principale.

CCS COMBO2 è uno standard con connettore nato dal Tipo2 e si chiama "combo" perché consente con un'unica presa sia la ricarica rapida in DC che la ricarica in corrente alternata. Risposta europea al CHAdeMO, ha il vantaggio di integrare la ricarica rapida e quella lenta in un unico connettore.

La potenza massima dipende dall'hardware utilizzato per la stazione di ricarica: oggi si arriva a 350 kW teorici con IONITY eTesla Supercharger v3 sarà aggiornato a 300 kW (dai 250 kW precedenti). Comunemente la potenza è di 50 kW/60 kW nelle stazioni più diffuse. 

TESLA

Tesla ha sviluppato inizialmente la propria tecnologia di ricarica, il Supercharger. Il sistema rientra nel mondo della corrente continua ma il vantaggio è che la spina è più compatta (la Tipo 2) e accetta anche la corrente alternata. Con i nuovi modelli, poi, anche gli americani si sono convertiti allo standard europeo CCS. I supercharger v3 arrivano fino a 250 kW, 300 kW con l'ultimo aggiornamento in arrivo.

Insomma, se chi ha una Tesla si ritrova con un ottimo ventaglio di possibilità, chi ha un'altra auto non può sfruttare i Supercharger dato che, sebbene la presa di Tipo 2 sia la stessa, la tecnologia impiegata è diversa.

RICARICARE L’AUTO ELETTRICA A CASA: WALLBOX E CAVI

A seconda dei connettori, si può ricaricare l'auto elettrica a casa, anche con la potenza base di 3 kW impiegata nella maggior parte dei contesti residenziali. Ovvio che i tempi di ricarica sono molto lunghi, per questo vanno necessariamente sfruttate le notti e, con le batterie più capienti, va fatto senza arrivare con l'auto completamente scarica. L'aumento di potenza a 4,5 kW (o 6 kW) è consigliabile per bilanciare i carichi tra auto in ricarica e altri utilizzatori (elettrodomestici, illuminazione e via dicendo) se avete box e casa sulla stessa linea.

Le wallbox sono strutture progettate per la ricarica delle auto elettriche casalinghe. Vengono installate (nel condominio, nel garage privato e via dicendo) dal gestore a cui ci si rivolge e supportano diversi connettori, solitamente Tipo 2, arrivando fino a 7,4/22 kW a seconda che si tratti di una wallbox monofase o trifase.

L'alternativa alla wallbox è il cavo che prevede un sistema di controllo (PWM) che mima il lavoro di comunicazione tra auto e colonnina, può consentire di gestire la potenza regolandola manualmente e si collega con la banalissima Schuko o con la spina italiana a tre poli.

Da notare che le prese domestiche hanno una corrente nominale fino a 16A ma spine come la Schuko non sono idonee a reggere per molte ore di seguito: il rischio è un danneggiamento o un surriscaldamento anche con un impianto moderno, figuriamoci con quelli più vecchi. Per risolvere il problema si può passare ad una presa industriale e stare molto più tranquilli a costi accessibilissimi.

Come calcolare tempi e costi di ricarica dell’auto elettrica

Il calcolo dei tempi di ricarica di un'auto elettrica (o moto, o scooter) è semplice: prendete la capacità della batteria in kWh, la potenza del sistema di ricarica e il gioco è fatto. Da notare che il calcolo varia in base alla potenza di ricarica ma anche al caricabatterie interno della vettura. 

Con una potenza di 7,4 kW dalla colonnina ma un caricatore che gestisce massimo 3,7 kW, ad esempio, va considerato il dato che fa da collo di bottiglia. Dividete quindi la capacità della batteria (in kWh) per la potenza di ricarica (in kW) e avrete un tempo approssimativo.

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Considerando che a comandare è il caricatore di bordo dell'auto (nel caso della corrente alternata, in DC il caricatore è integrato nella colonnina come specificato sopra), è chiaro che un'auto elettrica moderna con un caricatore che gestisce potenze più alte (ad esempio i 43 kW) è un vantaggio perché può sfruttare al massimo la stazione di ricarica veloce. In più, non sempre una colonnina eroga il suo valore nominale: solo collegandosi si può avere un riscontro dell'effettiva potenza in ballo.

Il costo varia dal gestore ma il calcolo è semplice anche in questo caso: da casa ogni ricarica di una batteria da 10 kWh viene conteggiata con un consumo di 10 kWh come farebbe qualsiasi altro elettrodomestico o la luce stessa. Alle colonnine si paga a seconda delle tariffe ma anche della tecnologia: ad esempio la ricarica in DC costa qualcosa in più al kWh rispetto a quella in AC per ammortare l'investimento di una stazione più costosa tecnicamente.

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